E’ nato 59 anni fa in Canada, da genitori salentini, il professor Daniele Manni, che nei prossimi giorni si contenderà agli Innovation Awards il riconoscimento per l’impegno didattico nell’innovazione e nell’imprenditorialità giovanile. Unico italiano fra i dodici partecipanti. Non una novità, per lui che già nel 2015 fu candidato al “Nobel” per l’insegnamento, il Global teacher prize. Un innovatore fra i banchi di scuola, Manni. Laureato in informatica all’Università di Torino, galeotta fu una supplenza di sei ore settimanali presa nel 1986 «per fare un favore ad un amico», racconta al Sole24Ore. «È stato amore a prima vista, il contatto con gli studenti – dice il professor Manni – mi ha letteralmente catturato e non mi ha mai più lasciato negli ultimi 32 anni. Probabilmente una mia fortuna è stata quella di poter insegnare quasi sempre nella stessa scuola, è infatti dal 1990 che insegno informatica presso il “Galilei-Costa” di Lecce, un prestigioso e storico istituto tecnico economico con sede nel cuore storico della città».
Con i suoi studenti prova, quotidianamente, a creare start-up economico-sociali. Imprese innovative che nascono nelle aule di una scuola superiore. «Nel ’99 – ci racconta l’informatico – la mia vita ha subito una svolta radicale, ho smesso ogni attività imprenditoriale (dal 1985 al 1994 ho partecipato alla creazione di quattro società) e ho deciso di portare “dentro” la scuola la mia esperienza e le diverse competenze maturate. Da oltre 15 anni, quindi, con ogni classe cerchiamo di dare vita a nuove micro e piccole attività imprenditoriali, parliamo di nuovi prodotti (ad es. capi d’abbigliamento, prodotti agroalimentari, etc.), servizi innovativi (promozione del territorio, siti web) o originali applicazioni per smartphone e pc. Sono vere e proprie “imprese”, non simulazioni in aula o sperimentazioni virtuali. I ragazzi provano con le proprie mani e sulla propria pelle cosa significa passare da un’idea innovativa, concepita con gesso e lavagna, alla sua concreta realizzazione e proposta e vendita sul mercato».
Nella maggior parte di casi si tratta di start-up economiche «ossia servizi e prodotti atti ad essere venduti, allo scopo di creare un profitto». Negli ultimi tre anni, l’orientamento è sempre più spesso all’ideazione di start-up sociali «le quali hanno uno scopo ben diverso, ossia quello di migliorare la vita delle persone o tentare di risolvere problemi legati a temi sociali». Un bel esempio di quest’ultimo caso è la startup “Mabasta”, un movimento di adolescenti che individua nuove soluzioni (a volte geniali) per contrastare il bullismo ed il cyberbullismo.
Manni racconta che nei primi anni, «l’intento era esclusivamente quello di «avvicinare quante più ragazze e ragazzi possibile a diventare imprenditori di sé stessi, in maniera tale che non dovessero “cercare” un lavoro (operazione spesso difficile, soprattutto nel meridione), ma che potessero crearselo da soli, dal nulla». Dopo qualche anno, poi, «ho maturato una costatazione non di poco conto, ossia che questa particolare didattica offre importanti benefici a tutti gli studenti, non solo a quelli col dna dell’imprenditore o, come dico spesso, dotati del fattore “S” (S = Startup)». L’esperienza maturata in cinque anni con un percorso didattico votato all’imprenditorialità, secondo Manni «offre agli studenti una migliore capacità nel risolvere problemi, una più marcata resilienza, una maggiore consapevolezza di sé e delle proprie capacità e, infine, una sostanziale fiducia nel futuro». Caratteristiche, queste, utili e spendibili in ogni possibile carriera futura, universitaria o impiegatizia che sia. «Nella nostra scuola non si respira un’aria di scoraggiamento, al contrario nei corridoi, nelle aule e nei laboratori circola una grande voglia di fare, carica di speranza».
Ma quanto è importante parlare di innovazione, oggi, nella scuola italiana? E la scuola italiana è abbastanza innovativa o vede gap con altri paesi europei? Secondo Manni l’innovazione non solo è importante, ma in alcuni casi «essenziale», soprattutto quando vogliamo «proiettare i nostri giovani verso le nuove professionalità, alcune delle quali non sappiamo nemmeno quali saranno fra quattro o cinque anni, quando si diplomeranno gli attuali iscritti al primo anno». C’è poi un altro aspetto che va considerato: «Dico spesso che ritengo i “contenuti” della scuola italiana assolutamente eccellenti, mentre secondo me dovrebbero cambiare radicalmente le modalità con cui questi vengono trasmessi. Fuori dalla scuola, i ragazzi vivono una realtà molto dinamica, multimediale e piena di stimoli e sarebbe importante portare gli stessi stimoli all’interno dalla scuola, così che si sentano più nel loro ambiente, invece in molti casi c’è uno scollamento radicale tra i ritmi della scuola e quelli della vita reale».
Nel confronto con gli altri paesi europei, il professore salentino ha la percezione che in termini di innovazione «siamo molto indietro, soprattutto se parliamo di paesi nordici come la Finlandia, la Svezia e l’Olanda. Però sono fiducioso nel futuro perché sento molto fermento nelle giovani generazioni».
Manni vive e lavora al Sud: è più difficile fare impresa e innovazione nel Mezzogiorno d’Italia? «Per dare una risposta precisa – racconta il professore – avrei dovuto fare impresa anche al Nord. Da quello che leggo, mi sembra però di poter sostenere che sì, qualche difficoltà in più c’è, se non altro per la distanza geografica con alcuni centri nevralgici del business. Mentre asserisco con determinazione che è sicuramente più difficile fare impresa e innovazione … da giovani, in tutta l’Italia, da nord a sud. Qui da noi è totalmente assurdo che dei giovani di 14-18 anni possano presentare la loro startup nel mondo degli affari e ricevere la stessa attenzione e considerazione degli adulti. Questo deve cambiare, se imparassimo a dare un po’ più di credito ai nostri giovani (sia in termini di credibilità che nel vero senso della parola, in denaro), potrebbero davvero stupirci, e non poco».
Il prossimo 20 e 21 settembre ad Aveiro, in Portogallo, insieme a 11 colleghi finalisti, Manni esporrà alla commissione degli “Innovation and Entrepreneurship Teaching Excellence Awards” la sua storia e la sua esperienze nell’insegnare imprenditorialità ai giovani. «Io sono l’unico docente di scuola superiore in quanto gli altri sono tutti docenti universitari e, confesso, questa cosa mi intimorisce un po’, tanto che all’inizio ho creduto in un errore di interpretazione del livello scolastico in cui opero. Più che portare alla commissione la mia storia personale, penso che porterò le tante storie dei miei ragazzi che in questi quindici anni hanno operato nel fare impresa, alcuni l’hanno spuntata, molti no, in ogni caso hanno sicuramente fatto una scuola per lo meno diversa e ricca di stimoli. Con ogni classe ho un gruppo privato in Facebook, attraverso il quale comunichiamo nelle ore extra scolastiche e durante i periodi di sospensione dalle lezioni (ebbene sì, le startup non vanno in vacanza). In questi giorni sto ricevendo dalle mie studentesse e dai miei studenti tanti messaggi di affetto e di incoraggiamento. Tengo moltissimo a loro e li sento tutti molto vicini, mi fa una grande tenerezza e commozione quando leggo sui social i loro commenti del tipo “…è il mio professore!”.».
Articolo originale di Biagio Simonetta su “Il Sole 24 Ore“.
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